Cancellati 30mila euro debiti (e gli enti locali devono pagare le spese legali)
Le cartelle pazze sono un virus per cui non esiste vaccino
Infatti, ogni giorno, da un capo all’altro dell’Italia, migliaia di contribuenti ricevono avvisi di pagamento spesso dagli effetti deflagranti, dal punto di vista economico, professionale e familiare. Veri e propri fulmini a ciel sereno che scatenano un misto di panico, incertezza e angoscia, retroattiva e futura. “Da dov’è saltata fuori?”, si chiede il malcapitato, rovistando tra i cassetti della memoria alla ricerca di una risposta (“forse ho dimenticato di pagare la tassa sulla spazzatura? O era una multa?”), senza ricevere aiuto o delucidazioni dal soggetto che ha bussato alla porta per riscuotere. Vale a dire, il Fisco.
Anzi, il contenuto della cartella esattoriale, a volte risulta addirittura ambiguo o fuorviante, a causa del famigerato lessico burocratico, o dell’insufficienza/inesattezza delle informazioni FONDAMENTALI per identificare un debito (tipologia, data di “nascita”, soggetto creditore).
Ti potrebbe interessare
Pandemia e immobili: la protesta attraversa l’Italia
Fortunatamente però, i contribuenti hanno ormai preso consapevolezza dei propri diritti verso il Fisco, liberandosi del senso di soggezione che per troppo tempo li ha costretti a subire in silenzio le più disparate (e spesso infondate) pretese economiche. Perciò, quando arriva una cartella esattoriale inattesa, la prima e istintiva reazione del classico Mario Rossi NON è più, mettere mano al portafoglio e pagare, mugugnando, pur di scongiurare le ire di Agenzia delle Entrate. Oggi, di default, ci si chiede: “chi mi dice che devo pagare davvero questi soldi? Meglio consultare avvocato e commercialista…”
Così, si moltiplicano le sentenze di cancellazione delle cartelle pazze (vale a dire, quelle non dovute in quanto gravate da vizi formali o sostanziali) da parte di svariati tribunali italiani, e la contestuale richiesta ad Agenzia delle Entrate Riscossione di farsi carico delle spese processuali. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è rappresentato dalla vicenda di un contribuente di Ragusa che, alla vigilia dell’esplosione della pandemia, aveva ricevuto un avviso di pagamento per un ammontare di circa 30mila euro. La somma sarebbe scaturita da una serie di violazioni al Codice della Strada.
L’uomo ha dimostrato al Tribunale di Ragusa che le sanzioni erano infondate in quanto non c’era stato alcun comportamento illecito. Da parte sua, quindi, non è dovuto alcunchè, ed anzi spessa al Comune ed a Riscossione Sicilia pagare il costo del procedimento legale.
Nel frattempo, due mesi fa erano stati i cittadini di Monreale (Palermo) a vedersi piovere sulla testa cartelle pazze derivanti da accertamenti comunali relativi all’Imu ed alla Tari del periodo compreso tra il 2011 ed il 2020. Gli importi pretesi variano da 100-200 euro a 1.000; oltre il danno la beffa, verrebbe da dire, perché questi importi sono stati richiesti, nella maggior parte dei casi, per immobili non più di proprietà del contribuente contattato, o a contribuenti defunti. Su entrambi i fronti gli enti locali hanno respinto qualunque responsabilità dichiarando che era stato il cittadino a non comunicare tempestivamente la nuova situazione allo Stato.