Cartelle esattoriali tramite PEC: cosa è cambiato per gli italiani?
Qualunque cambiamento atto a incidere sui rapporti tra cittadini e burocrazia non può essere semplicemente calato dall’alto
Gli aggiornamenti procedurali, come pure lo snellimento di iter ormai consolidati, devono essere preceduti da un mirato lavoro di sensibilizzazione. È necessario insomma preparare il “terreno” sociale, affinchè questo sia in grado di recepire in modo ottimale i cambiamenti. Non basta, infatti, presentarli come una sorta di panacea perché siano accolti: risulta fondamentale accompagnare i cittadini in un percorso di evoluzione, mentale e quindi comportamentale.
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Cartelle esattoriali a mezzo PEC? Tanto rumore per nulla
Nel recente passato l’agente di riscossione ha descritto la Posta Elettronica Certificata come lo strumento in grado di imprimere una svolta decisiva in materia fiscale. Trasparenza, immediatezza e comodità. Teoricamente sarebbero dovuti essere questi i punti di forza dell’innovativo strumento di comunicazione. Sostanzialmente però, i benefici sono ancora ben lungi dall’essersi manifestati. Proviamo a spiegare perché.
PEC: fai attenzione al formato degli allegati
La cartella di pagamento notificata deve essere costituita da un documento di tipo .p7m e non pdf. I file di Acrobat Reader sono infatti l’equivalente della fotocopia, e quindi teoricamente potrebbero essere frutto di infinite riproduzioni.
L’impiego del formato .p7m offrirebbe un cospicuo margine di garanzia al contribuente, ma al tempo stesso pone un problema. La lettura di questo tipo di file richiede una specifica abilitazione a mezzo smart card o token (il dispositivo impiegato per controllare online il conto corrente). Tali strumenti non sono però ricompresi nel servizio base di Posta Elettronica Certificata: devono infatti essere acquisiti separatamente.
Il risultato di questo “sdoppiamento” è sotto gli occhi di tutti. Migliaia di contribuenti che non hanno particolare familiarità con la tecnologia hanno attivato un indirizzo di PEC su consiglio del proprio commercialista, e magari con il suo supporto. Successivamente però se ne sono dimenticati, e quindi non hanno controllato per mesi la posta ricevuta. Oppure, quando lo hanno fatto, non essendo materialmente in grado di visualizzare i file in formato .p7m, hanno cestinato il tutto nella convinzione che si trattasse di spam.
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Al momento, quindi, per quanto riguarda i rapporti tra agenzia di riscossione e cittadini, la PEC sembra rappresentare qualcosa di simile al passo del gambero. Dovrebbe quindi esser chiaro che per realizzare il progresso non basta parlarne. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ancora una volta…
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La redazione