Cartelle: quando un silenzio ne determina l’annullamento
La Pubblica Amministrazione ti chiede soldi, ma poi non risponde alla tua contestazione?
Il debito che avevi nei suoi confronti decade. A sancirlo è stata la Corte d’Appello di Lecce attraverso la sentenza n.1593 del 2018, che potrebbe ridiscutere profondamente il potere esercitato da organismi quali AER e l’INPS nei confronti dei contribuenti.
Cosa afferma, nel dettaglio la suddetta pronuncia? Dichiara il principio secondo cui, se un ente pubblico ignora la comunicazione del cittadino relativa alla legittimità di atti quali le cartelle esattoriali, e provvedimenti come l’ipoteca, il debito che li ha originati viene meno.
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La sentenza è scaturita dalla vicenda di un imprenditore salentino a cui l’Istituto Nazionale di Previdenza contestava il mancato pagamento di migliaia di euro di contributi. L’uomo aveva in un primo momento contattato direttamente l’ente e AER, ma il tentativo si era risolto in un nulla di fatto. Così, aveva agito in giudizio.
La decisione della Corte d’Appello fa riferimento ai dettami contenuti nella Finanziaria 2013. Questa aveva stabilito che, entro una finestra temporale prefissata, gli atti dell’agente di riscossione possono essere annullati tramite istanza del contribuente. L’intervallo di tempo era di 90 giorno fino a ottobre 2015, quando è stato ridotto a 60.
Spetta a questo punto all’agente di riscossione inoltrare la comunicazione all’ente pubblico titolare del credito, che deve rispondere al contribuente. Trascorsi 220 giorni senza alcun riscontro, la pendenza viene cancellata.
Ultimo, ma non meno importante, questa pronuncia non è stata contestata né dall’INPS né da AER, che implicitamente ne hanno riconosciuto l’autorevolezza.
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La redazione