Debitori pensionati: oltre quale cifra può scattare il pignoramento?
A cosa ci si riferisce quando si parla di “minimo vitale”?
Probabilmente l’espressione evocherà poco o niente nella mente di chi è in età da lavoro, ma quasi certamente tutti i pensionati, almeno una volta, ci avranno fatto i conti.
Il minimo vitale, infatti, rappresenta la quota di pensione che non può essere pignorata in nessun caso, in quanto equivale all’ammontare indispensabile a garantire i bisogni essenziali dell’individuo.
A quanto ammonta oggi?
Il valore-soglia è dato dalla pensione sociale aumentata del 50%. Tali criteri sono stati sanciti dall’articolo 545 del Codice di Procedura Civile.
La pensione sociale è stata fissata a 453 euro per il 2018, dunque l’esproprio forzoso è consentito solo se il pensionato percepisce più di 679,50 euro. L’eventuale eccedenza può essere “aggredita” nei limiti di un quinto.
Esiste un “minimo vitale” anche per i lavoratori?
No, la disciplina, in questo caso è diversa, in quanto offre minori margini di tutela al debitore. Infatti, il criterio generale prevede che possa essere espropriato fino a un quinto dell’importo complessivo netto dello stipendio, se lo stesso viene accreditato in fase successiva al pignoramento.
Il limite da rispettare è invece di un terzo, se il versamento su conto corrente precede l’esproprio forzoso. In entrambi i casi, comunque, il debitore può rivolgersi al giudice qualora i valori fissati non siano stati rispettati, così da invalidare il provvedimento in riferimento all’eccedenza.
…e se c’è più di un creditore? I pignoramenti non possono eccedere complessivamente il “tetto” del 50% dello stipendio.
La redazione