Equitalia ti toglie il sonno? Deve pagarti
10.05.2017 12:36
Ogni giorno un italiano si sveglia, e sa che dovrà confrontarsi con la burocrazia, schivare i suoi colpi bassi, e difendersi da storture e anomalie. Un corpo a corpo che in alcuni casi si trasforma in vera e propria guerra di nervi. Un botta e risposta logorante, kafkiano, i cui effetti devastanti non tardano a manifestarsi, sul portafoglio, sull’umore … e sul fisico. Pensate a una situazione tipo: avete impugnato un avviso di pagamento, il giudice ha riconosciuto le vostre ragioni e cancellato il debito. Come se niente fosse, però, passa del tempo, e l’Agenzia di Riscossione batte cassa, magari iscrivendo un fermo amministrativo sulla macchina che usate per lavoro. Vi recate allo sportello per chiarire la situazione, ma ottenete una semplice alzata di spalle dagli impiegati, che dichiarano di non poter risolvere la faccenda, in quanto non debitamente informati dall’ufficio legale. Morale della favola, vi ritrovate, senza colpa, con le ganasce all’auto.
La domanda è: chi risponde del tempo e delle energie perse dal contribuente per dipanare la matassa? Come fare a evitare che il macroscopico disservizio resti impunito? La risposta è arrivata da una sentenza della Cassazione, la 7437 del 23 marzo scorso, che ha ribadito la risarcibilità del danno non patrimoniale (oltre a quello patrimoniale) scaturito da un avviso di pagamento illegittimo. In parole povere, se l’errore è di Equitalia, gli effetti in termini di stress vanno rimborsati al cittadino.
Cosa comporta la pronuncia della Cassazione?
L’ordinanza si riferisce ai casi in cui il contribuente debba contestare una cartella evidentemente inefficace, nonostante abbia precedentemente rilevato l’infondatezza della pretesa creditoria dell’Agenzia di Riscossione. Ciò gli dà il diritto di ottenere non solo il risarcimento delle spese legali sostenute (danno patrimoniale), ma anche delle pesanti conseguenze subite in termini morali (danno non patrimoniale).
Quali sono gli elementi di novità della sentenza?
La pronuncia 7437 del 23 marzo 2017 segna un punto di svolta, per quanto riguarda la tutela del danno non patrimoniale, ovvero della “lesione di un interesse garantito dalla Costituzione, o l’effetto di un reato”. Percepire il relativo indennizzo comporta infatti la documentazione dell’insorgere di conseguenze particolarmente gravi e diffuse - in termini di ansia, stress e tempo perso – e queste in passato difficilmente venivano riconosciute dai giudici, in relazione al comportamento della pubblica amministrazione.
La sentenza recentemente emessa dalla Cassazione evidenzia quindi la necessità e la volontà di proteggere il benessere psicofisico del cittadino che, anche contro la sua volontà, è costretto a un confronto magari prolungato e estenuante, con gli enti pubblici. In capo a questi ultimi, implicitamente, viene riconosciuto l’obbligo ad agire con buonsenso, laddove sia possibile esemplificare le procedure amministrative avvalendosi dei molteplici strumenti messi a disposizione della tecnologia.
Peraltro, il cittadino che chiede il risarcimento del danno morale non è, contestualmente, tenuto a quantificarlo e determinarne l’ammontare. Spetta infatti al giudice procedere al rimborso, seguendo il principio di equità, ovvero, valutando di volta in volta quale cifra possa essere sufficiente a rifondare gli effetti negativi subiti.
Agenzia di Riscossione batte cassa!
Ogni giorno un italiano si sveglia, e sa che dovrà confrontarsi con la burocrazia, schivare i suoi colpi bassi, e difendersi da storture e anomalie. Un corpo a corpo che in alcuni casi si trasforma in vera e propria guerra di nervi.
Un botta e risposta logorante, kafkiano, i cui effetti devastanti non tardano a manifestarsi, sul portafoglio, sull’umore … e sul fisico.
Pensate a una situazione tipo: avete impugnato un avviso di pagamento, il giudice ha riconosciuto le vostre ragioni e cancellato il debito.
Come se niente fosse, però, passa del tempo, e l’Agenzia di Riscossione batte cassa, magari iscrivendo un fermo amministrativo sulla macchina che usate per lavoro.
Vi recate allo sportello per chiarire la situazione, ma ottenete una semplice alzata di spalle dagli impiegati, che dichiarano di non poter risolvere la faccenda, in quanto non debitamente informati dall’ufficio legale. Morale della favola, vi ritrovate, senza colpa, con le ganasce all’auto.
La domanda è: chi risponde del tempo e delle energie perse dal contribuente per dipanare la matassa? Come fare a evitare che il macroscopico disservizio resti impunito? La risposta è arrivata da una sentenza della Cassazione, la 7437 del 23 marzo scorso, che ha ribadito la risarcibilità del danno non patrimoniale (oltre a quello patrimoniale) scaturito da un avviso di pagamento illegittimo. In parole povere, se l’errore è di Equitalia, gli effetti in termini di stress vanno rimborsati al cittadino.
Cosa comporta la pronuncia della Cassazione?
L’ordinanza si riferisce ai casi in cui il contribuente debba contestare una cartella evidentemente inefficace, nonostante abbia precedentemente rilevato l’infondatezza della pretesa creditoria dell’Agenzia di Riscossione.
Ciò gli dà il diritto di ottenere non solo il risarcimento delle spese legali sostenute (danno patrimoniale), ma anche delle pesanti conseguenze subite in termini morali (danno non patrimoniale).
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Quali sono gli elementi di novità della sentenza?
La pronuncia 7437 del 23 marzo 2017 segna un punto di svolta, per quanto riguarda la tutela del danno non patrimoniale, ovvero della “lesione di un interesse garantito dalla Costituzione, o l’effetto di un reato”.
Percepire il relativo indennizzo comporta infatti la documentazione dell’insorgere di conseguenze particolarmente gravi e diffuse - in termini di ansia, stress e tempo perso – e queste in passato difficilmente venivano riconosciute dai giudici, in relazione al comportamento della pubblica amministrazione.
La sentenza recentemente emessa dalla Cassazione evidenzia quindi la necessità e la volontà di proteggere il benessere psicofisico del cittadino che, anche contro la sua volontà, è costretto a un confronto magari prolungato e estenuante, con gli enti pubblici.
In capo a questi ultimi, implicitamente, viene riconosciuto l’obbligo ad agire con buonsenso, laddove sia possibile esemplificare le procedure amministrative avvalendosi dei molteplici strumenti messi a disposizione della tecnologia.
Peraltro, il cittadino che chiede il risarcimento del danno morale non è, contestualmente, tenuto a quantificarlo e determinarne l’ammontare.
Spetta infatti al giudice procedere al rimborso, seguendo il principio di equità, ovvero, valutando di volta in volta quale cifra possa essere sufficiente a rifondare gli effetti negativi subiti.
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da redazione