FISCO E SUICIDI, QUANDO LO STATO DIVENTA IL NEMICO DEGLI IMPRENDITORI
20.01.2014 16:48
Morire di fisco e di debiti perché lo stato è diventato il tuo nemico. In Italia ci si suicida non solo per la malagiustizia che spinge tanti al gesto estremo all’interno di un carcere. Ma anche perché un imprenditore non viene pagato dalla pubblica amministrazione centrale, o da un ente locale, ma intanto il fisco vuole incassare l’iva sulla fattura emessa. O perché l’Agenzia delle Entrata del manager super-pagato Attilio Befera, pretende, pena l’ipoteca sulla casa o sui macchinari d’azienda e basandosi su studi di settore forse buoni nei tempi in cui non c’era la crisi, lo stesso gettito irpef presunto anche in un anno in cui si è venduto poco o niente. Questo stato di polizia fiscale è l’altra grande disgrazia degli italiani insieme alla giustizia che non funziona.
Per questo abbiamo deciso di occuparci in maniera costante di questi morti invisibili, di queste persone che hanno deciso di lasciare per rabbia e per disperazione questa vita, insieme ai loro affetti e ai loro familiari.
E chiunque vorrà segnalarci una storia che conosce, o che lo riguardi più o meno direttamente, avrà uno strumento per farlo. Magari scrivendo alla nostra redazione o contattandoci in qualunque modo. Lo stato deve assumersi le proprie responsabilità per i circa 120 individui che ogni anno degli ultimi sette, da quando è iniziata la crisi, hanno deciso di farla finita perché trattati da Equitalia come evasori, o dalle banche come imbroglioni o dalle amministrazioni da cui pretendevano di essere pagati come un rompiscatole.
Quando si muore per pena in una galera ridotta in una discarica o appesi a una corda nella propria bottega che per colpa delle tasse non si riesce più a mandare avanti, magari per garantire un futuro ai figli, allora l’assassino ha un identikit ben preciso: quello di funzionari inutilmente zelanti della burocrazia spietata dello stato italiano.
Pubblichiamo le prime 5, drammatiche, storie che abbiamo esaminato. Continueremo nei prossimi giorni. Perché sono tanti troppi i nomi e i volti di chi ha deciso di arrendersi schiacciato dalla crisi.
Pietro Tonin
Pietro Tonin 39 anni, era scomparso da casa da circa una settimana quando venne ritrovato il 4 gennaio 2010 dentro a un torrente a Piovego. Tonin, sposato e padre di tre figli, una settimana prima aveva telefonato alla moglie e da quel momento nessuno era più riuscito a mettersi in contatto con lui.
Qualche tempo dopo la moglie, Monica Miazzo, commentò così l’istituzione di un fondo di garanzia per gli artigiani veneti come il marito: “Mio marito non aveva grossi debiti. Però c’erano alcuni insoluti, qualche cliente che non l’aveva pagato – continua Monica – solo che quando si manda avanti un’attività, anche poche migliaia di euro possono essere decisive.” Specie se Equitalia esige l’Iva versata anche per fatture non ancora pagate dai tuoi clienti.
Lorenzo Guglielmi
Era assessore al bilancio del comune di Rosà, vicino a Bassano. Nato il 30 gennaio 1954 fu eletto nelle liste di centro-destra nel 2007 e come lavoro faceva il “promotore finanziario”. Ma cosa succede un brutto giorno nella sua psiche? I nemici politici, veri sciacalli, il giorno che lo hanno trovato impiccato a casa sua, dicevano che non sapeva fare il proprio mestiere politico, ma i familiari ricordano un uomo buono, oberato dal fisco e forse anche dagli impegni amministrativi. Ma se lo stato arriva a far suicidare chi dovrebbe servirlo come uomo di governo, allora quanto è veramente profonda questa crisi?
Danilo Gasparini
Aveva una fabbrica artigianale di crocifissi per cui, quando il 7 dicembre del 2009, decise di farla finita lo fece mettendosi vicino al luogo per lui più simbolico: il cimitero di Istrana in provincia di Treviso. Paese dove lui viveva e lavorava. Prima, Gasparini aveva scritto di suo pugno il biglietto lasciato ai familiari. Poi ha preso la vecchia Renault per dirigersi verso il non lontano cimitero di Postioma . Ha parcheggiato la vettura in un luogo semi nascosto e infine ha collegato il tubo di scappamento all’abitacolo e si è chiuso dentro.
Enrico Zennaro
Il vice direttore dell’agenzia Veneto Innovazione, morì suicida a Rovigo il 20 febbraio 2012. Zennaro stava per perdere il posto di lavoro e Venezia e il fisco lo opprimeva. A 61 anni, vicino alla pensione, sentiva di non potere fare molto di più per garantire un futuro alla famiglia. Eppure era un uomo molto in gamba, in passato era stato direttore dell’associazione industriali di Rovigo e nel 2003 accettò di buon grado l’incarico offertogli da Veneto Innovazione conservando ottimi legami con il mondo dell’industria polesana. Aveva goduto di una buonuscita di 220 mila euro e di un incarico di consulenza che gli rendeva 20 mila euro l’anno. Passò nove anni in Veneto Innovazione, fino a diventarne vice-direttore. Si poteva definire un uomo benestante, se non ricco, però il fatto che i supermanager di Veneto Innovazione volessero sbarazzarsi di lui, sia pure pagandolo molto bene, per lui era inaccettabile. Gli accertamenti Equitalia hanno fatto il resto.
Ivano Polita
Si tolse la vita in azienda a Noventa di Piave, vicino Venezia, la mattina dell’8 marzo 2012. Era il giorno della festa della donna. Aveva usato una di quelle corde che solitamente vengono utilizzate per tenere legato il materiale di lavoro sul furgone. Sembra sia stato trovato un biglietto, nel quale ha scritto i motivi del suo gesto. E tra le parole usate c’era l’immancabile riferimento alle difficoltà legate alla crisi. Faceva il falegname e aveva lavoro, solo che i clienti pagavano con molto ritardo mentre le scadenze fiscali e le cartelle degli accertamenti Equitalia erano puntuali come la morte. Così, lui, che in paese era noto per non avere mai chiesto nulla a nessuno, ha preferito chiudere la partita a modo suo.