Giù le mani dallo stipendio: la sentenza della Cassazione
Per chi ha un debito, il pignoramento presso terzi è l’incubo che diventa realtà
Così può capitare di scoprire per puro caso, tramite estratto conto, che la busta paga è stata “ripulita” e alleggerita a monte. E la sorpresa ha il sapore della cicuta. La velocità con cui questa si manifesta, però, dipende dalla categoria a cui appartiene il creditore. Se si tratta di un privato, infatti, lo stipendio viene aggredito nel momento stesso in cui viene emessa la notifica del provvedimento, ma PRIMA deve essersi svolta la relativa udienza.
Se invece il creditore è lo Stato, questo agisce tramite Agenzia delle Entrate Riscossione che invia una cartella esattoriale in tutto equivalente ad un titolo esecutivo. Viene cosi bypassata la “tappa” in tribunale. E se il debitore non contesta il provvedimento, assume carattere definitivo; ci sono 60 giorni di tempo per estinguere la pendenza, altrimenti il pignoramento parte in automatico.
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La buona notizia, però, è che una sentenza della Corte di Cassazione (la n.1546 del 21 luglio 2020) ha messo dei paletti ai criteri che rendono valido un atto di pignoramento. Nello specifico questo è nullo se non contiene la chiara indicazione della natura e tipologia del debito.
La pronuncia degli Ermellini è particolarmente significativa in quanto finora è stata prassi diffusa indicare nella cartella esattoriale unicamente l’importo totale dovuto.