I “vizi” che possono rendere nulli gli interessi di una cartella
Una raccomandata da firmare
Suona il citofono. Rispondi, e dall’altra parte c’è il postino che, solerte, ti avvisa. “Una raccomandata da firmare”. Chi non si è visto attraversare la schiena da un brivido, in casi del genere? Ancor prima di rendersene conto, infatti, la mente passa in rassegna gli scenari peggiori, tra cui quello di una cartella esattoriale o di una multa da pagare.
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In realtà le frecce all’arco del contribuente che vuol difendersi da una pretesa fiscale illegittima sono molteplici: la prima e più immediata da utilizzare, però, spesso passa in sordina. Si tratta della possibilità di inoltrare ricorso al giudice entro due mesi, 40 o 30 giorni in base al tributo di riferimento, contestando il merito dello stesso. Il problema è che in pochi se ne avvalgono in quanto, nella maggior parte dei casi, quando l’avviso di pagamento viene notificato, le suddette finestre temporali si sono già chiuse.
Obbligo di motivazione della cartella di pagamento
Questo principio, fissato dallo Statuto del Contribuente, sancisce che il titolo esecutivo deve indicare gli estremi dell’atto di accertamento da cui si originato o, in alternativa, la causale della pretesa tributaria.
A tal proposito la Corte di Cassazione ha stabilito che l’ente incaricato della riscossione deve illustrare all’interno della cartella esattoriale, anche se in modo sintetico e sommario, come si è costituito il debito, così da permettere al cittadino di difendere adeguatamente in sede legale la sua posizione.
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Impugnare l'avviso di pagamento
Dunque è possibile impugnare l’avviso di pagamento per eventuali errori contenuti nello stesso (i cosiddetti vizi propri, costituiti il più delle volte da elementi tecnico-formali). In tal senso, rappresenta un punto di riferimento una recente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Isernia (sentenza n. 167/01/17), secondo cui l’atto deve contenere l’indicazione della data ultima entro cui sono stati addebitati gli interessi. In caso contrario non si è tenuti al versamento di questi ultimi; il capitale, invece, deve essere comunque saldato.
Peraltro, la Cassazione aveva già ripetutamente ricordato l’obbligo dell’ente riscossore a riportare l’aliquota utilizzata per ogni anno, pena l’illegittimità dell’ammontare relativo agli interessi.
In che modo il cittadino può difendersi?
Qualora all’interno della cartella non sia chiaramente indicata la data finale entro cui questi sono stati computati, si può procedere con il reclamo mediazione (per somme inferiori o uguali a 20mila euro). Se entro tre mesi l’ente riscossore non dichiara decaduto l’importo, o quantomeno lo rettifica, ci si può rivolgere al giudice. È consigliabile, comunque, presentare una richiesta realistica e fattibile: dunque, piuttosto che esigere l’annullamento dell’intero debito (che quasi certamente non si otterrebbe), meglio optare per la cancellazione dei soli interessi.
La redazione