Il lavoro in nero tra necessità e speculazione
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Non fare troppe domande…e soprattutto non “pretendere” un contratto
Si può riassumere così l’andamento del mercato delle professioni nel periodo compreso tra il 2012 e il 2015. In tre anni, infatti, sono andati persi circa 500mila posti di lavoro, e contestualmente gli occupati in nero sono arrivati a 3,3 milioni, registrando un incremento pari quasi al 6,5%. A delineare il quadro è uno studio effettuato da Censis per Confcooperative.
Il lavoro nero è un fenomeno che riguarda in ampia misura le attività dipendenti, e, nello specifico, badanti e colf (60%), soggetti impegnati in agricoltura e nei servizi. Il sommerso nel campo della ristorazione arriva quasi al 20%, e nell’edilizia supera il 16%.
Tuttavia, precisano da Confcooperative, i fattori che determinano il ricorso al lavoro nero cambiano in base alla tipologia di dipendente. Ad esempio, nel caso di colf e badanti spesso le famiglie devono barcamenarsi tra le risorse limitate e l’esigenza di garantire a genitori anziani e malati un punto di riferimento; il sommerso rappresenta quindi una scelta obbligata. Nel settore dell’edilizia, dell’intrattenimento o della ristorazione, invece, è solo uno “strumento” per far lievitare i profitti.