Imprenditore perugino rinviato a giudizio: utilizzò nome falso in fase di notifica della cartella
Fatta la legge, trovato l’inganno
Così, anche uno strumento tecnicamente utile quale la dichiarazione sostitutiva di certificazione, meglio nota come autocertificazione, può diventare lo strumento per veicolare informazioni erronee o incomplete nei confronti degli enti pubblici. Affermando di essere in possesso di requisiti in realtà inesistenti, si ha dunque la possibilità di accedere a procedere selettive e concorsuali di vario tipo. Tuttavia, laddove emerga il falso, le conseguenze sono gravi. Ad esempio, si incappa nell’accusa di falso ideologico, come nel caso di un imprenditore perugino e della sua collaboratrice, rinviati a giudizio nei giorni scorsi.
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Di cosa parliamo quando parliamo di autocertificazione?
Si tratta di un documento a cui possono ricorrere gli imprenditori intenzionati a partecipare a una gara d’appalto. Nello specifico, il legale rappresentante è tenuto a dichiarare, tra le altre cose, di non aver subito decreti penali diventati definitivi e di non aver compiuto gravi violazioni in riferimento al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali né illeciti professionali.
Affermare il falso consentirebbe dunque di accreditarsi – con l’inganno – nei confronti dell’ente pubblico. Perciò l’imprenditore e la sua collaboratrice sono giunti a processo, e devono rispondere, tra l’altro, anche dell’accusa di sostituzione di persona.
Notifica della cartella: quando a fare “giochi di prestigio” è il destinatario
Il Pubblico Ministero ha contestato l’utilizzo di un nome di fantasia al momento della ricezione della comunicazione emessa dall’ente riscossore. Uno stratagemma, questo, messo in atto allo scopo di “dribblare” il pagamento di circa 10mila euro e per poter, successivamente, rilevare un vizio di notifica.
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