Pignoramento del conto corrente estero: qual è la verità?
Vicino = rapido e conveniente?
Non sempre, e non in senso assoluto. Ma è indubbio che, per il creditore, potendo scegliere, è preferibile mettere le mani su un conto corrente italiano rispetto ad uno francese, tedesco, o inglese.
Il pignoramento presso terzi, vale a dire “l’aggressione” di un conto contenente denaro proveniente da varie fonti (stipendio, pensione…) è, generalmente, un’azione più agevole rispetto all’intervento su beni mobili e immobili. Costi e tempistiche sono infatti più contenuti.
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La legge riconosce al creditore il diritto di rivalersi anche su un IBAN straniero, a patto che il Paese di riferimento abbia sottoscritto l’accordo di libero scambio di informazioni fiscali (White List).
D’altra parte, la situazione cambia a seconda che l’IBAN sia stato attivato presso una banca presente su territorio nazionale o all’estero e, in quest’ultimo caso, che sia europeo o extraeuropeo, casistica che provoca un significativo incremento delle spese legali e procedurali, connesso alla necessità di richiedere una rogatoria internazionale. Gli importi vengono solitamente anticipati dal creditore e in un secondo momento rimborsati dal debitore.
Quindi, se il conto su cui il creditore vuole intervenire non è situato in Italia, è consigliabile, prima di mettere in moto la macchina burocratica, provare a fare una stima del rapporto costi/benefici.
Ultimo, ma non meno importante, se il debitore in Italia risulta nullatenente, ma all’estero è titolare di uno o più conti correnti, può essere perseguito penalmente a seguito dell’accusa di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Un’eventualità, questa, che si concretizza, come ha specificato la Corte di Cassazione (sentenza n.37136 del 26 luglio 2017), quando la pendenza, superiore a 50mila euro, derivi dal mancato pagamento dell’IVA o delle imposte sui redditi.