Tutela dei consumatori: attenzione ai lupi travestiti da agnelli
Quando qualcosa viene prospettata come facilissima sarebbe buona regola diffidare
Soprattutto se l’oggetto della questione sono i soldi, bisognerebbe frenare gli entusiasmi e porsi una preliminare (e fondamentale) domanda. Dov’è il trucco? Perché è quasi certo che da qualche parte si annidi un’amara sorpresa.
Nei giorni scorsi i Carabinieri di Messina hanno ottenuto gli arresti domiciliari per un ex avvocato del foro del capoluogo siciliano radiato dall’ordine da 15 anni, per due legali di Catania, e per un procacciatore d’affari. L’accusa a loro carico è quella di associazione a delinquere connessa alla truffa di ignari cittadini.
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Così il gruppo aveva scelto di chiamare l’organizzazione a cui ricondurre la sedicente attività di patrocinio. Difficoltà di rimborso di mutui e finanziamenti, anomalie connesse alle cartelle esattoriali e presunti illeciti bancari. Erano questi i temi “cari” ai quattro, e su cui millantavano una consolidata esperienza.
Nella realtà dei fatti, però, i cittadini che avevano chiesto il supporto di Progetto Benessere non hanno poi ricevuto alcun tipo di assistenza legale, senza contare che, in alcuni casi, hanno anche visto piombare sulla propria testa misure esecutive quali quella del pignoramento. Il tutto per “modiche” cifre comprese tra 1.000 e 15.000 euro, richieste a titolo di contributo unificato o costi di gestione della pratica. L’ammontare complessivo rastrellato dai quattro si aggira intorno a 100mila euro.
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La procedura con cui il gruppo si relazionava a ciascuna vittima era infallibile e implacabile. Il primo contatto, “l’aggancio”, spettava al procacciatore d’affari, che tesseva le lodi dell’associazione Progetto Benessere e poneva le basi di una persuasione completa e granitica.
A questo punto entrava in scena l’avvocato radiato dall’albo, che, alternativamente, affermava di esercitare ancora la professione, o di essere il coordinatore di uno staff specializzato in controversie fiscali e bancarie. Incassare il pagamento era peraltro abbastanza facile: bastava infatti applicare il sempreverde principio in base al quale snocciolare una sfilza di termini tecnici e locuzioni articolate stordisce l’interlocutore e ne plasma la volontà.
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I due legali di Catania firmavano quindi il mandato “ad litem” su fogli bianchi, salvo poi disinteressarsi completamente di espletare le azioni connesse all’effettiva tutela dei clienti, che comunque non avevano mai modo di conoscerli di persona.
Comprensibilmente, dopo qualche mese si chiedeva conto dello stato di avanzamento della pratica all’avvocato radiato, e a ciò seguiva la rinuncia al mandato da parte dei catanesi. Si prometteva a questo punto il rimborso dell’importo versato attraverso apposite coordinate bancarie, ma il tutto si risolveva sistematicamente in un nulla di fatto.
A oggi le vittime accertate della truffa sono 15, ma le forze dell’ordine ipotizzano che il fenomeno sia ben più diffuso e ramificato sul territorio.
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