Usura bancaria: cosa cambia con la regola del 2,1%
Caro mutuo, quanto mi costi?
Ottenere un finanziamento per acquistare casa, ristrutturarla, o per gestire un’azienda NON è un punto d’arrivo, né garantisce una strada in discesa a privati e imprenditori. Al contrario, a dirla tutta, può costituire una sorta di Spada di Damocle: bisogna assicurare alla banca un flusso costante di denaro, “fino all’estinzione del debito”, ovvero, fino al pagamento dell’ultima rata.
Anche chi non ha mai richiesto un mutuo può immaginare che onorare questo impegno non è MAI semplice né scontato, perché si parla di contratti la cui durata è generalmente superiore a 15 anni. Un arco di tempo in cui può succedere di tutto. Nel bene e nel male.
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Insomma, possiamo dire che accendere un mutuo rappresenta già sulla carta un azzardo, una sfida. A complicare ulteriormente le cose contribuiscono spesso voci di spesa che si manifestano a distanza di tempo dalla firma del contratto. Un esempio su tutti? I cosiddetti interessi di mora, a cui bisogna far fronte in caso di ritardato pagamento di una o più rate mensili.
Una voce di spesa non gradita – per ovvi motivi – ai mutuatari, ma, cosa meno intuitiva, recentemente diventata un problema anche per le banche. Perché? È presto detto. Gli interessi moratori finiscono sempre più spesso nel mirino dei tribunali e della Cassazione ai fini dell’individuazione di eventuali tassi usurari.
In questi anni si sono così susseguite sentenze spesso in contrasto tra loro. Per verificare se gli interessi pagati alla banca sono usurari in quanto superano i valori soglia fissati da Banca d’Italia, è necessario tenere conto anche della mora? La questione è complessa, perché la voce di spesa non viene addebitata al mutuatario AUTOMATICAMENTE , ma solo in caso di ritardato pagamento.
A complicare il quadro è intervenuta la sentenza n.16303/2018 della Corte di Cassazione, che ha proposto di maggiorare del 2,1% il tasso d’interesse di TUTTI i mutui per verificare se il contratto stipulato con la banca può definirsi usurario.
Il “rimedio” rischia di essere peggio della “malattia”, almeno per due motivi: non è dato sapere se questo criterio sarà applicato anche ai mutui già esistenti, né cosa succederà ai mutuatari.
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