Vitalizi: la guerra a colpi di carte bollate dei parlamentari per mantenerli intatti
05.12.2017 16:38
Al netto di retorica e populismo
Di cosa parliamo quando parliamo dei privilegi dei politici? Tanto per cominciare, delle ingenti somme di denaro che hanno ricevuto anche a titolo di pensione, per anni.
Correva il 2012 quando la Riforma Fornero abolì il vitalizio calcolato su base retributiva rimpiazzandolo con quello fondato sul metodo contributivo. A fronte di un Paese nella morsa della crisi economica, era infatti moralmente inaccettabile - oltre che inutilmente dispendioso – continuare a garantire mensilmente introiti stellari a ex deputati e senatori, considerando che milioni di pensionati sono costretti a immani sacrifici per far quadrare i conti.
Contributo di solidarietà triennale
In ogni caso, le cifre incassate dai deputati e senatori a riposo sono restate di tutto rispetto, dato che in media si parla comunque di più di 2.000 euro netti al mese (a cui quasi sempre si sommano anche ulteriori pensioni derivanti dall’attività di avvocato, medico…). Tuttavia i politici hanno individuato un nuovo fronte su cui dar battaglia, e cioè quello legato al contributo di solidarietà triennale varato nei mesi scorsi.
Questa misura, che viene applicata ai vitalizi derivanti da precedenti legislature, è articolata su quattro livelli: 10% per importi compresi tra 20mila e 80mila euro lordi l’anno, 20% fino a 90mila, 30% entro 100mila e 40% per cifre superiori. In poco tempo si sono già sommati i ricorsi di numerosi politici secondo cui il Parlamento non ha alcun bisogno di incamerare un contributo di solidarietà sul cui impiego si riserverebbe poi di decidere.
Nel frattempo però, a ottobre scorso la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della misura, ponendo l’accento sul fatto che la stessa ha durata limitata nel tempo e carattere di eccezionalità.