Basta una firma su un contratto bancario per finire intrappolati nelle alchimie finanziare. Una cliente della Banca Regionale Europea, desiderosa di ottenere un mutuo per l’acquisto della prima casa, è stata convinta a sottoscrivere anche un contratto «derivato», strumento finanziario di garanzia il cui funzionamento è materia per esperti di mercati. Il tribunale di Torino ha condannato la banca a restituire alla cliente le perdite di denaro accumulate dal «derivato», più gli interessi, ritenendo nulla la sottoscrizione.
Roulette russa
La vicenda risale al 2007, agli albori della crisi finanziaria dei mutui «subprime». La cliente della banca si rivolge allo sportello per ottenere un mutuo trentennale, a tasso variabile, dell’importo di 175 mila euro. Su richiesta dell’istituto, la signora viene invitata a sottoscrivere un contratto di «Interest Rate swap», a copertura del rischio connesso al rialzo del tasso di interessi del mutuo. Questione di pesi. Secondo il meccanismo, le potenziali passività determinate dall’aumento smisurato del tasso variabile del mutuo, sarebbero state compensate dallo swap, garantito da un flusso attivo basato sul rapporto fra tasso fisso e tasso variabile. A parte un primo periodo favorevole, il contratto ha causato alla cliente forti perdite: oltre 10 mila euro. Ma se il tasso di interesse crolla, è il cliente a dover versare la differenza alla banca, e «l’ammontare delle perdite è direttamente proporzionale al livello di abbassamento del tasso». Un contratto letale come una roulette russa.
Azione legale
La signora si è rivolta all’avvocato torinese Massimiliano Elia, esperto di battaglie contro banche e simili. «Un caso paradossale, unico nel suo genere - dice il legale -. La signora, oltre ad aver sottoscritto una regolare assicurazione su mutuo soggetto di per sé ad ipoteca, ha dovuto anche accollarsi un derivato». Per convincere il giudice Luca Martinat della bontà delle loro lamentele, hanno fatto leva sulla nullità del contratto per «carenza di causa», caposaldo del diritto civile. Perché la banca non ha raccolto le «informazioni necessarie a verificare il livello di conoscenza dello swap da parte della cliente» e soprattutto non c’era equilibrio tra il mutuo e il contratto derivato.
«Il cliente dell’istituto bancario - scrive in sentenza il giudice - ben difficilmente avrebbe potuto beneficiare del contratto di swap in quanto l’andamento del tasso di interesse che gli avrebbe determinato un beneficio alla luce delle pattuizioni contrattuali non era concepito come concretamente realizzabile dagli operatori del sistema, a cominciare dalla Banca centrale europea». Alla radice, c’è una sproporzione di conoscenza tra banca e consumatore. «La signora - aggiunge il giudice - non era stata adeguatamente informata dalla controparte in ordine all’effettiva alea che entrambi avevano assunto».
da La Stampa