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Pignoramenti: quando sei costretto a vendere all’asta la tua casa per un decimo del suo valore

Pignoramenti

 PignoramentiQuando il mancato pagamento di un debito determina il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile di residenza, uno degli scenari più probabili è quello degli avvoltoi che banchettano sul cadavere della gazzella.

Non è infatti un mistero che le quotazioni del bene, già in partenza ribassate, vengano ulteriormente (e in modo drastico) ridimensionate finchè non si materializza un acquirente. E ovviamente quest’ultimo ha tutto l’interesse a giocare d’astuzia per spuntare il prezzo più vantaggioso. Specularmente, l’asta può rivelarsi uno stillicidio, per il debitore, in quanto deve confrontarsi con il rischio palpabile di perdere la casa in cui vive senza riuscire a saldare integralmente la propria pendenza.

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Spesso chi subisce un pignoramento ricorre a gesti estremi

Così, spesso chi subisce un pignoramento ricorre a gesti estremi, o comunque dimostrativi, nella speranza di accendere i riflettori sulla propria situazione e ottenere un concreto aiuto. Nei giorni scorsi, ad esempio, Cataldo Scarlata, agricoltore siciliano, si è barricato nel suo appartamento di circa 150 metri quadrati situato a San Cataldo, dopo che l’immobile era stato venduto all’asta per 11mila euro.

Il valore originario del bene si aggirava intorno ai 100mila euro, e il pignoramento era seguito al mancato pagamento di alcune rate del mutuo acceso presso la banca Toniolo.

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Una vicenda, questa, simile a quella occorsa a Giuseppe Scarlata, fratello di Cataldo. Il primo infatti si era visto pignorare un terreno che era stato poi liquidato all’asta per 30mila euro. In entrambe i casi il debito iniziale sarebbe stato determinato dai ritardi nel pagamento dei contributi comunitari precedentemente accordati.

Un mese fa il legale dei due fratelli aveva presentato un esposto per denunciare i tentativi adottati da ignoti per ottenere un cospicuo ribasso del valore di vendita della casa. Significativo, in tal senso, era stato anche il fatto che questa fosse stata liquidata solo dopo 5 tentativi, e a un prezzo che la legge definisce vile e che può determinare il congelamento della procedura. Ulteriori sviluppi della vicenda sono attesi per il 25 gennaio. 

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La redazione

 


 
 

Palermo: “rateizzare non equivale a riconoscere il debito. E non ha conseguenze sulla prescrizione”

Una dilazione è per sempre? 

RateizzazioneÈ questo il dilemma, a tratti inquietante e foriero di oscure conseguenze, con cui si trovano spesso a fare i conti i cittadini, magari ingolositi dalla manovra di rottamazione ciclicamente riproposta dal Governo.

D’altra parte, chi non coglierebbe l’occasione di cancellare i propri debiti con il Fisco, laddove avesse l’occasione di pagare solo una parte dell’importo originario? Il punto però, è che spesso il contribuente, anche se in buona fede, fa il passo più lungo della gamba e sottoscrive un piano di dilazione che, con il tempo, si rivela poco sostenibile. Costi vivi, uscite impreviste e spese mediche possono infatti – letteralmente – vampirizzare il bilancio mensile di una famiglia.

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Così, dopo che il cittadino salta una o più rate, il problema iniziale si ripropone, magari con conseguenze ancora più gravi. Finora infatti la sottoscrizione di un piano di rateazione del debito azzerava i termini trascorsi fino a quel momento ai fini della prescrizione. In pratica, il contachilometri virtuale veniva resettato e si ripartiva. Da qui in avanti le cose potrebbero cambiare.

RiscossioneSicilia Chiamata al pagamento

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Palermo Paolo Marino ha infatti stabilito che l’adesione a un piano di dilazione non annulla la prescrizione, e non implica l’automatico riconoscimento del debito. Riscossione Sicilia è stata quindi richiamata al pagamento delle spese di lite.

All’origine della pronuncia c’è il ricorso di un contribuente che aveva chiesto di poter rateizzare i 30mila euro dovuti a titolo di contributi previdenziali.

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Nel 2009 il cittadino aveva ottenuto di poter frazionare il debito originario. Circa dieci anni dopo, però, Riscossione Sicilia si è fatta avanti chiedendo il fermo dei beni.

La sentenza

La sentenza del Giudice del Lavoro Paolo Marino risulta particolarmente significativa in quanto sottolinea che la rateazione non equivale a una sorta di “ammissione di colpa” da parte del debitore. Scaturisce piuttosto dalla consapevolezza che è necessario pagare per evitare il congelamento dei propri beni, e quindi gravissime ripercussioni sulla propria vita professionale e privata. 

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La redazione 

 


 
 

Teramo: accertata usura bancaria a causa di un anomalo tasso d’interesse iniziale

Accertata usura bancaria

Accertata_Usura_bancariaFiniti i tempi in cui le banche venivano guardate con ossequio e forse fin troppa reverenza, quasi come fossero un’entità sovrannaturale pervasa da un’aura mistica, i cittadini hanno acquisito una consapevolezza nuova, per quanto riguarda i loro diritti. Così, sono diventati indiscutibilmente agguerriti, nel tutelare i propri risparmi e far luce su eventuali anomalie. Ciò ha consentito, soprattutto in anni recenti, di veder emettere numerose sentenze a condanna delle varie casistiche di illeciti.

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L’ultima pronuncia, in ordine di tempo, arriva dall’Abruzzo, e più precisamente dal Tribunale di Sulmona (L’Aquila). Questo ha constatato l’applicazione di tassi usurari da parte di un'importante finanziaria già al momento in cui il prestito è stato concesso.

Detta sentenza è emblematica perché, inserendosi nel solco di un approccio in fase di consolidamento, implica l’individuazione di un illecito da parte della banca in fase di pattuizione del tasso corrispettivo, ovvero quello indipendente da un’eventuale mora.

La pronuncia del Tribunale di Sulmona è particolarmente rilevante non solo perché ha riguardato la posizione di un gruppo bancario impegnato su base internazionale, ma anche perché ha stabilito che l’anomalia relativa ai tassi applicati può insorgere anche nelle fasi iniziali del contratto”. A parlare è Vincenzo Mazza, consulente tecnico della difesa ed esperto incaricato da Confconsumatori e Codacons.

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L’interessata non si era accorta del fatto che già il tasso corrispettivo fosse inspiegabilmente alto”, ha precisato l’uomo.

Ma com’è possibile che il cliente della banca o finanziaria non ravvisi immediatamente l’anomalia annidata nel contratto? Incappare nella trappola è più semplice di quanto si creda, purtroppo, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi a essere comunicato - con una certa enfasi, peraltro - è il TAN (Tasso Annuo Nominale), e non il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale), che è quello effettivamente rilevante ai fini del calcolo dell’usura. Quest’ultimo racchiude in sé tutte le spese connesse al finanziamento (interessi, istruttoria, bollo, assicurazione).

Il caso in questione, esaminato dal Tribunale di Sulmona, era partito nel 2013, e all’epoca alla cliente non era stata accordata la consulenza tecnica. La sostituzione del giudice ha però rovesciato la situazione.

A seguito della sentenza la finanziaria dovrà rimborsare alla cittadina gli interessi già versati, mentre quest’ultima sarà tenuta a restituire il capitale che le era stato inizialmente prestato.

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Una vicenda, questa, che ha sostanzialmente decretato la vittoria della vittima di illeciti. Purtroppo però, ancora oggi, molto spesso, la possibilità di veder riconoscere le proprie ragioni non è effettivamente garantita a tutti. Resta infatti particolarmente pesante il ruolo giocato dalle condizioni economiche di chi decide di intraprendere le vie legali, come pure dall’eventualità di affidarsi a un tecnico affidabile e competente. 

La redazione