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La firma sulle cartelle era falsa, ma avere giustizia sembra impossibile…

Subire un furto è una delle peggiori esperienze che possa capitare a una persona

cartelle_Firma_FalsaLa ferita che ne deriva non è legata, banalmente, (sol) tanto ai beni materiali di cui si è stati privati, ma soprattutto alla consapevolezza che è stato violato, calpestato, e, in un certo senso, profanato, il proprio spazio privato. Quello in cui, tecnicamente, bisognerebbe sentirsi totalmente al sicuro.

Un evento, questo, paragonabile allo stupro dell’anima. Il turbamento e la vulnerabilità che ne derivano lo accomunano a un’altra, sgradevole, situazione: la sparizione della propria corrispondenza.

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Trafugare comunicazioni destinate ad altri, magari utilizzando lo stratagemma di una firma falsa, costituisce reato, ma purtroppo non sempre il diretto interessato ottiene giustizia. I problemi sollevati da una situazione del genere sono infatti almeno due: garantire che la missiva venga letta dal malcapitato, consentendogli di agire tempestivamente, e individuare (e punire) il responsabile della frode.

La macchina della giustizia, purtroppo, si inceppa

Laddove le procedure burocratiche si rivelano disfunzionali. Così, al cittadino resta addosso un amarissimo mix di impotenza e frustrazione. Una vicenda di questo segno si è verificata, nelle scorse settimane, a Piacenza.

Un imprenditore ha ricevuto svariate cartelle esattoriali firmate da qualcuno al posto suo e, nonostante esami tecnici abbiano dimostrato l’illecito, è stato costretto a pagare. Il reato non può peraltro essere perseguito perché, nel frattempo, è arrivata la prescrizione.

All’origine di tutto

Il corposo faldone di cartelle esattoriali ricevute dall’imprenditore nel 2014. Il debito ammontava complessivamente a circa 20mila euro, e risaliva al periodo compreso tra il 1992 e il 1996. Per l’uomo, comprensibilmente, la vicenda è stata un vero e proprio fulmine a ciel sereno, così ha chiesto e ottenuto che venisse svolta una perizia calligrafica. Questa ha dimostrato che almeno quattro avvisi di pagamento presentavano una firma falsa, tuttavia non è stato possibile svolgere ulteriori indagini in merito, in quanto sono trascorsi i termini di prescrizione.

Contestualmente, suo malgrado l’imprenditore è stato costretto a concordare la rateizzazione, in modo da tutelare l’impresa e portare avanti le sue ragioni in tribunale. Le cartelle corredate di firma falsa dovrebbero infatti essere annullate, ma per il contribuente e il suo legale risulta già difficile comunicare con Agenzia delle Entrate Riscossione, a causa di una sorta di “gioco al rimpiattino” tra uffici che rende difficile anche solo capire a chi rivolgersi.

Inevitabile, a questo punto, sentirsi due volte beffato…

La redazione 

 


 
 

I “vizi” che possono rendere nulli gli interessi di una cartella

Una raccomandata da firmare

Vizi_formali_cartelle_esattoriali

Suona il citofono. Rispondi, e dall’altra parte c’è il postino che, solerte, ti avvisa. “Una raccomandata da firmare”. Chi non si è visto attraversare la schiena da un brivido, in casi del genere? Ancor prima di rendersene conto, infatti, la mente passa in rassegna gli scenari peggiori, tra cui quello di una cartella esattoriale o di  una multa da pagare.

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In realtà le frecce all’arco del contribuente che vuol difendersi da una pretesa fiscale illegittima sono molteplici: la prima e più immediata da utilizzare, però, spesso passa in sordina. Si tratta della possibilità di inoltrare ricorso al giudice entro due mesi, 40 o 30 giorni in base al tributo di riferimento, contestando il merito dello stesso. Il problema è che in pochi se ne avvalgono in quanto, nella maggior parte dei casi, quando l’avviso di pagamento viene notificato, le suddette finestre temporali si sono già chiuse.

 

Obbligo di motivazione della cartella di pagamento

Questo principio, fissato dallo Statuto del Contribuente, sancisce che il titolo esecutivo deve indicare gli estremi dell’atto di accertamento da cui si originato o, in alternativa, la causale della pretesa tributaria.

A tal proposito la Corte di Cassazione ha stabilito che l’ente incaricato della riscossione deve illustrare all’interno della cartella esattoriale, anche se in modo sintetico e sommario, come si è costituito il debito, così da permettere al cittadino di difendere adeguatamente in sede legale la sua posizione.

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Impugnare l'avviso di pagamento

Dunque è possibile impugnare l’avviso di pagamento per eventuali errori contenuti nello stesso (i cosiddetti vizi propri, costituiti il più delle volte da elementi tecnico-formali). In tal senso, rappresenta un punto di riferimento una recente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Isernia (sentenza n. 167/01/17), secondo cui l’atto deve contenere l’indicazione della data ultima entro cui sono stati addebitati gli interessi. In caso contrario non si è tenuti al versamento di questi ultimi; il capitale, invece, deve essere comunque saldato.

Peraltro, la Cassazione aveva già ripetutamente ricordato l’obbligo dell’ente riscossore a riportare l’aliquota utilizzata per ogni anno, pena l’illegittimità dell’ammontare relativo agli interessi.

In che modo il cittadino può difendersi?

RECLAMO_MEDIAZIONEQualora all’interno della cartella non sia chiaramente indicata la data finale entro cui questi sono stati computati, si può procedere con il reclamo mediazione (per somme inferiori o uguali a 20mila euro). Se entro tre mesi l’ente riscossore non dichiara decaduto l’importo, o quantomeno lo rettifica, ci si può rivolgere al giudice. È consigliabile, comunque, presentare una richiesta realistica e fattibile: dunque, piuttosto che esigere l’annullamento dell’intero debito (che quasi certamente non si otterrebbe), meglio optare per la cancellazione dei soli interessi. 

 

La redazione 

 


 

 

Se la segnalazione di sofferenza è azzardata puoi chiedere il risarcimento alla banca

puoi chiedere il risarcimento alla banca

RisarcimentoPerseverare è diabolico, ma sbagliare è umano. A chi non è capitato, almeno una volta nella vita, di dover fronteggiare una situazione economica difficile? I liberi professionisti lo sanno bene: i clienti non sempre sono puntuali e completamente affidabili quando si tratta di pagamenti. Altre volte all’origine del “rosso” ci possono essere bollette imprevedibilmente salate, o spese familiari non procrastinabili.

Così, sei costretto a saltare la rata del mutuo, impossibilitato a onorare il tuo debito con la banca o la finanziaria. È questione di un attimo, e probabilmente, senza neppure immaginarlo, ti ritrovi a camminare su un filo sospeso nel vuoto. Un equilibrista in balia del Crif.

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Estremamente pericolosa, ad esempio, può essere la segnalazione di sofferenza alla Banca d’Italia. Motivo, questo, per stabilire che il procedimento è giustificato solo se il debitore è vittima di una situazione di indisponibilità economica di tale gravità da non far presupporre alcuna ripresa. In pratica, l’anticamera del fallimento.

Ne consegue che, laddove l’istituto di credito o la finanziaria effettuino la segnalazione di sofferenza di un cliente dopo che quest’ultimo non ha pagato una o qualche rata, il loro comportamento è censurabile, anche sotto il profilo giuridico.

 

Quali sono le peculiarità della segnalazione di sofferenza?

L’inserimento di un nominativo in Centrale Rischi non offre agli intermediari margini di discrezionalità. In buona sostanza, nel momento in cui agiscono, questi si attengono alle linee guida fissate dalla Banca d’Italia.

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La segnalazione a sofferenza, al contrario, implica un monitoraggio complessivo e in parte discrezionale. Generalmente, in questa casistica rientra l’esposizione per cassa verso soggetti in stato di insolvenza; discorso diverso, invece, se la condizione di difficoltà finanziaria sia connessa a problemi del sistema-Paese.

Il ritardato versamento di una tranche del mutuo non autorizza la banca ad appioppare al cliente una segnalazione di sofferenza. Il provvedimento spesso, infatti, equivale a un vero e proprio marchio d’infamia, morale e materiale. Non solo, infatti, reputazione e credibilità vengono profondamente compromesse, ma ottenere nuove linee di credito, come pure mantenere quelle aperte, risulta pressoché inimmaginabile.

In questo contesto si inserisce l’ordinanza n. 25512/2017 della Cassazione, che attribuisce in capo all’istituto di credito e alla finanziaria una responsabilità negoziale, laddove la segnalazione di sofferenza si sia rivelata impropria.

Cosa può fare l’interessato per tutelarsi? Gli strumenti a sua disposizione sono il ricorso in tribunale tramite procedura d’urgenza, e la richiesta di cancellazione da qualunque centrale in cui sia stato iscritto. Peraltro, se la segnalazione di sofferenza ha avuto ripercussioni economiche, riconducibili ad esempio a finanziamenti negati, è possibile ottenere anche il risarcimento dei danni.

La redazione