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45mila in più sul conto, ma è un errore. E la banca lo iscrive in Centrale Rischi

Se “accidentalmente” ti ritrovi un accredito imprevisto, aspetta prima di esultare. Accertati che quei soldi siano l’eredità di uno sconosciuto zio d’America prima di spenderli. Ti potresti infatti ritrovare nella stessa situazione di un pensionato di Imperia.

Circa un anno fa il 70enne ha visto lievitare il suo conto in banca di circa 45.000 euro. L’uomo aspettava un rimborso dall’estero a seguito dell’incidente di un parente, e così chiedeva conferma dell’operazione. Dopo circa tre settimane arrivava la brutta notizia che smorzava ogni entusiasmo. La somma spettava a un correntista ligure che ha un Iban simile. Nel frattempo però la somma era stata spesa, e così il pensionato si ritrovava iscritto in Centrale Rischi.

«Abbiamo subito fatto ricorso Innanzitutto, perché il mio cliente non aveva aperto alcun finanziamento e poi perché era la banca ad essersi sbagliata». Così Leone, il legale dell’uomo. Dal canto suo la Banca d’Italia ha dichiarato di non poter procedere alla cancellazione del nome dalla blacklist, se la procedura seguita dall’istituto di credito è stata regolare. Come se non bastasse, la richiesta di chiusura del conto non è stata soddisfatta, e anzi sono stati drenati 8.600 euro (arretrati della pensione) per coprire, almeno parzialmente il debito.

«Stiamo seriamente valutando di presentare una denuncia penale. Il mio cliente innanzitutto non è stato avvisato e poi la banca non avrebbe potuto trattenere quei soldi». Prosegue l’avvocato. Il pensionato è fermo nel suo proposito, nonostante inizialmente fosse disponibile anche a farsi trattenere una percentuale di pensione per risolvere il problema. 

 

Gli pignorano la casa e la ricompra un amico. Suicida imprenditore edile

Carrara, 60 anni, un’azienda sana, una vita di affetti, e poi tutto va in pezzi per la crisi. Le cartelle esattoriali, i debiti con le banche … e la  goccia che fa traboccare il vaso: il pignoramento della casa in cui viveva con la moglie, e la vendita all’asta conclusa nel peggiore dei modi. L’imprenditore edile Giuseppe Pensierini se n’è andato così. Si è suicidato, sprofondando la famiglia in una disperazione lancinante.

La villetta era stata tirata su dall’uomo con l’aiuto della figlia, rappresentando il coronamento di una vita di sacrifici materiali ripagati e di amore, la sua e quella della moglie Antonella, compagna di una vita.

Giuseppe aveva infatti iniziato a lavorare giovanissimo, aprendo la partita IVA a 20 anni. L’attività aveva funzionato bene per anni, poi però sono iniziati i problemi economici, e con questi si sono incrinate le certezze su cui aveva costruito la sua felicità. Eppure qualcosa, credeva, sarebbe rimasta incrollabile, un punto di riferimento. La casa.

Purtroppo non è stato così, e l’immobile è stato messo all’asta. Appena qualche giorno prima Giuseppe Pensierini aveva presentato domanda al Tribunale per poterlo ricomprare, confidando nel fatto che svariati tentativi di vendita fossero falliti. Poi ad acquistare è stato un amico, e gli è crollato il mondo addosso.

“Ricominceremo piano piano, proprio come tanto tempo fa, quando eravamo giovani”, gli aveva detto la moglie. Ma l’amore stavolta non è bastato a dissipare amarezza e dolore.. Vedere andare in frantumi un’intera vita è stato troppo. Così, forse per una sorta di pudore misto a vergogna, ha raccontato una bugia ai familiari, e si è impiccato. E dire che la figlia aveva, quasi certamente, avuto un presentimento. Papà non farmi stare in pensiero”.

Giuseppe Pensierini ha lasciato due biglietti, uno per l’amico che ha comprato casa sua, e uno per i giudici del Tribunale di Massa. “Scusami ma non potevo più vivere, sarei morto lentamente e io non volevo che soffrissi tanto. Spero di ritrovarti in un mondo migliore dove posso sposarti di nuovo”. Ha lasciato scritto alla moglie.

La famiglia dell’uomo ha voluto rendere nota la vicenda. “Diciamolo chiaramente che questo gesto non è stato fatto perché veniva a mancare un tetto e quattro mattoni, ma per la delusione, il rimorso di aver commesso degli errori,l’averci provato in tutte le maniere, aver provato a far capire ai giudici e non essere ascoltato. Noi ripetiamo quello che tu ci hai chiesto di far sapere, ma non ti assicuriamo che le persone coinvolte riusciranno a farsi un esame di coscienza. Ovunque tu sia babbo camminerai a testa alta. Te lo meriti”.

 

Lieve inadempimento del contribuente: il piano di dilazione non decade

Hai concordato un piano di rateazione con l’Agenzia delle Entrate o con quella di Riscossione? Una lieve omissione non può comportare la revoca del procedimento. A sancire questo principio, due pronunce emesse in Puglia e a Roma.

La CTR meridionale (sent. N. 319/11/2016) ha infatti stabilito che devono essere applicate anche alle vecchie rateazioni, purché attive, le norme recentemente varate che riconoscono le ragioni del contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Il DLGS 159 dello scorso anno ha precisato che le rateizzazioni successive al 21 ottobre 2015 non decadono per piccoli inadempimenti. A cosa ci si riferisce con questa espressione? A una rata saldata con ritardo inferiore a una settimana e/o al mancato pagamento di una quota non superiore al 3% e 10mila euro. Va comunque precisato che, a partire dalla seconda rata, si può sborsare la somma entro i termini previsti per quella successiva.

La pronuncia della Commissione Tributaria ha esteso l’attuazione dei suddetti principi anche ai piani di dilazione concordati prima del 21 ottobre.

La pronuncia del Tribunale di Roma si è inserita nello stesso filone, salvaguardando il contribuente rispetto a piccoli ritardi o al mancato pagamento di una manciata di euro a Equitalia. Dunque, un lieve inadempimento non può comportare il decadimento del piano di rateazione o l’applicazione di ulteriori interessi.