"Qualcuno mi aiuti, o sarà la fine"
Una storia molto italiana e molto attuale quella raccontata da Giovanni Esposito, ex imprenditore edile, che prima di Natale si è visto recapitare una cartella da Equitalia in cui gli si chiede il pagamento di circa 300mila euro, pena il pignoramento della casa. Il 60enne residente a San Giacomo si dice ridotto alla disperazione: "O qualcuno mi aiuta o la faccio finita". L’uomo ha omesso una serie di versamenti durante gli anni in cui era titolare di un’impresa edile, a causa dei mancati pagamenti – circa 100mila euro – da parte di alcuni clienti. "Non pagavano me, come facevo io a pagare le altre cose?". Le difficoltà e i debiti sono così andati via via moltiplicandosi e lui, che da due anni è senza un lavoro, non sa più come fare. "Cerco un modo, una strada per bloccare tutto, per riavere i miei soldi e far fronte ai pagamenti – racconta - Non so che fare, non so nemmeno perché parlo con voi, se non per la rabbia e il bisogno di sfogarmi, di condividere questo senso di ingiustizia che mi opprime".
Termoli. Quando è arrivata la cartella di Equitalia, pochi giorni prima di Natale, ha rischiato di perdere i sensi leggendo l’importo. «Non potevo crederci, ma purtroppo non c’era nessun errore». La cifra da pagare entro i canonici trenta giorni, pena l’ipoteca sulla casa, gli ha fatto venire il latte alle ginocchia, come si dice, e fatto schizzare il cuore a mille. 297.229,50 euro. Cioè duecentonovantasettemila duecentoventinove euro e cinquanta centesimi. In pratica trecentomila euro. «Che non ho, e che non potrò mai avere, e che non posso nemmeno rateizzare: il lavoro l’ho perso, non ho nessuna entrata».
Lui si chiama Giovanni Esposito, ha sessant’anni, vive in affitto in una casa a San Giacomo degli Schiavoni. Fino a qualche anno fa aveva una ditta edile e cinque operai più o meno fissi. «Il lavoro c’era, ma poi le cose hanno cominciato a girare male e nessuno pagava più, e io mi sono ritrovato senza un soldo in mano, con crediti che non riuscivo a recuperare e nessuna possibilità di pagare contributi e fornitori». Risultato: la ditta è stata sciolta nel 2010, dopo tre anni di forti difficoltà. Ma Equitalia ha la memora lunga, e ora chiede di avere, con more e interessi alle stelle, quello che all’epoca l’ex imprenditore non ha versato.
Una storia molto italiana, e purtroppo molto attuale, quella di questo signore ridotto alla disperazione e probabilmente anche consigliato male da avvocati e commercialisti, che oggi si ritrova con una spada di Damocle a pochi centimetri dalla testa e rischia di perdere l’unica casa di proprietà che ha, e che si è costruito lui nel corso del tempo a Benevento, il comune dal quale è partito molti anni fa per fare l’emigrante in Svizzera. Quando è tornato dall’estero, si è ritrovato a fare qualche lavoretto da muratore in BassoMolise. «E qui sono rimasto, qui ho messo in piedi una piccola ditta di costruzioni che dal 2004 al 2007 ha lavoricchiato facendo varie cose». Giovanni Esposito, divorziato e padre di due figli che vivono fuori, ricostruisce a fatica la sua vicenda imprenditoriale e non smette di pensare a quanto sarebbe facile, in questa situazione che gli appare senza sbocco, scomparire in un modo o nell’altro come hanno già fatto altri prima di lui.
«All’inizio le cose andavano bene, è per questo che ho pensato di aprire una mia impresa. Ma poi, tre anni dopo la registrazione alla Camera di Commercio, i clienti hanno cominciato a non pagare per mancanza di liquidità o altri problemi vari. Io tuttora dovrei avere quasi centomila euro per lavori realizzati e mai pagati». Tra questi, racconta Esposito, un caseificio tra Larino e Guglionesi, alcuni appartamenti a Porticone, Termoli, lavori edili a Campomarino. «Nel 2010 ho cancellato la ditta e ho chiuso tutto. E sì, è vero che negli anni precedenti non ho pagato una serie di imposte, ma perché non avevo soldi e quelli che dovevo avere non arrivavano.
Non sono mai arrivati».
Così eccolo qua, Giovanni Esposito, con la sua cartella impossibile a cinque zeri e un carico di disperazione che non lo fa dormire la notte e gli fa venire gli incubi anche di giorno. Con una casa, una villa a Pugliano, che la società di riscossione ha ipotecato e che presto potrebbe essere pignorata. «Cerco un modo, una strada per bloccare tutto, per riavere i miei soldi e far fronte ai pagamenti. Non so che fare, non so nemmeno perché parlo con voi, se non per la rabbia e il bisogno di sfogarmi, di condividere questo senso di ingiustizia che mi opprime». Attualmente vive in affitto a San Giacomo e non lavora da due anni, «a pare qualche giornata in cui faccio il muratore. Ma non chiamiamolo lavoro».
Sottolinea quel controsenso lì, che non lo molla, il paradosso di dover pagare tutti quei soldi «quando io stesso non sono stato pagato per lavori che ho fatto. Ma come si può concepire una cosa così? Vorrei trovare la strada, così come anche un avvocato capace che mi dia un consiglio, che mi spieghi come devo fare». L’alternativa è un pensiero che lui cerca di allontanare, ma che sta sempre là, a portata di mano e di mente. Quella cifra, nero su bianco su una cartella ormai scaduta che diventa ogni giorno più minacciosa, quei trecentomila euro, sono un incubo dal quale non si riesce a svegliare.