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Equitalia ha chiuso i battenti il 1 luglio scorso, ma l’eredità che si è lasciata alle spalle non sarà facile da smaltire. Infatti, all’atteggiamento di implacabile puntualità e precisione riservato a contribuenti e imprese debitrici ha fatto da contraltare un marcato lassismo quando si è trattato di liquidare i fornitori.
Una tendenza, questa, che è emersa con chiarezza a seguito dell’analisi della banca dati del MEF in merito ai pagamenti delle PA effettuati nel 2016. A fare il punto è stata la CGIA (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre attraverso il coordinatore dell’Ufficio Studi Paolo Zabeo.
“Due pesi e de misure. Si può riassumere così l’approccio tenuto da Equitalia. Il pugno di ferro è stato infatti sfoderato tutte le volte che è stato necessario riscuotere un credito nei confronti di privati cittadini e aziende. Laddove bisognava saldare una fattura a vantaggio di terzi, invece, la pratica è stata gestita con la massima calma”.
Equitalia e INAIL sono state accomunate dal fatto di aver pagato i fornitori con circa due settimane di ritardo a fronte delle disposizioni di legge che prevedono il saldo entro un mese dalla data di ricevimento della fattura. Ancora peggio ha fatto l’INPS, che ha praticamente raddoppiato le tempistiche.
…e i ministeri?
L’operato del Governo è stato caratterizzato da luci e ombre, come evidenzia la CGIA di Mestre. Infatti, lo scorso anno gli Internihanno pagato con quasi due mesi di ritardo, il Ministero della Giustizia dopo 52 giorni, la Difesa dopo 46 giorni e lo Sviluppo Economico dopo 38.
Particolarmente zelanti, invece, si sono rivelati i funzionari dell’Ambiente, degli Esteri e dell’Economia e delle Finanze, che hanno saldato le fatture con un anticipo, rispettivamente, di 7 e 4 giorni.
“Bene la banca dati del Mef ma non basta…”
La CGIA di Mestre ha peraltro sottolineato che, purtroppo, il processo di digitalizzazione all’insegna dei principi di condivisione e trasparenza non è stato effettuato da tutte le pubbliche amministrazioni.
Infatti, sebbene queste abbiano l’obbligo a procedere tramite fatturazione elettronica dal 31 marzo 2015, su un totale di 13.500 soggetti coinvolti, lo scorso anno ben 6.900 circa (pari a più del 50% del totale) ancora non si erano adeguati.
Inevitabile, quindi, rilevare che l’informatizzazione delle PA viene spesso sbandierata e pubblicizzata attraverso i media unicamente per ottenere visibilità e promozioni dai piani alti delle gerarchie istituzionali. Attuare in concreto, giorno dopo giorno, le procedure finalizzate a raggiungere la digitalizzazione e la esemplificazione sembra invece un’altra storia: il cambiamento (reale) fa paura a molti, specialmente a quanti hanno ottenuto il proprio posto di lavoro non per meriti ma per circostanze concomitanti e/o “fortuite”…
I contribuenti lo hanno imparato sulla propria pelle
Non sempre le cifre richieste dagli enti concessionari (la vecchia Equitalia, per intenderci) sono effettivamente dovute. E talvolta questi sono perfettamente consapevoli dell’anomalia che si sta compiendo, ma vanno comunque avanti come uno schiacciasassi.
Tocca quindi al contribuente verificare tramite il proprio legale che il debito è decaduto…e battersi per non dover pagare inutilmente.
È dei giorni scorsi la notizia della vicenda di una 70enne ex commerciante triestina, Annamaria Scognamiglio, che ha rischiato di dover sborsare 52.531,93 euro per estinguere un debito che le era stato notificato a marzo dello scorso anno.
Fortunatamente il Tribunale di Trieste (Sezione Lavoro) ha appurato che l’importo era in larghissima misura già prescritto. La donna dovrà pagare quindi solo 6mila euro circa, relativi a una cartella esattoriale di febbraio 2013.
Tutto comincia quando Annamaria Scognamiglio si vede recapitare da Equitalia una ventina di cartelle esattoriali riguardanti contributi previdenziali e quote Irpef non pagate per un arco di tempo compreso tra il 2000 e il 2010. L’Agenzia di Riscossione, dal canto suo, dichiara di averla già informata con regolare avviso, ma la donna sostiene di essere rimasta all’oscuro di tutto fino a quel fatidico giorno di marzo del 2016.
Termini di prescrizione: chi ha ragione?
La disputa legale è stata incentrata sul dibattito circa il periodo di tempo necessario a far estinguere le cartelle di pagamento.
Mentre Equitalia sosteneva che la prescrizione si perfezionasse dopo dieci anni, il legale di Annamaria Scognamiglio, Cristiano Gobbi, ha portato avanti la tesi secondo cui sarebbero sufficienti cinque anni.
In tal senso, è stata importante un’analoga vicenda discussa nel medesimo periodo dalla Cassazione a Sezioni Unite. Questa ha infatti rappresentato un precedente a cui la ex commerciante triestina ha potuto richiamarsi.
“La mia assistita è entrata nel panico quando ha ricevuto l’intimazione di pagamento, non solo perché questa è stata una specie di fulmine a ciel sereno, ma anche perché l’importo era davvero considerevole. Non sarebbe quindi stato possibile attutirlo neanche attraverso la rateizzazione”. Così Cristiano Gobbi.
L’auspicio è che la vicenda di Annamaria Scognamiglio possa costituire il precedente a cui altri commercianti friulani alla prese con richieste analoghe possano far riferimento per difendersi.
Equitalia è andata in pensione ormai alcuni mesi fa, ma le sue funzioni sono state prese in carico da Agenzia delle Entrate Riscossione. Il trasloco di competenze ha aperto una serie di quesiti inerenti altrettante situazioni pratiche sperimentate dai contribuenti.
Per esempio, cosa rischia chi he ha un debito con l’ente e si trasferisce all’estero? Legittimamente l’interessato si chiede quali conseguenze possa avere il provvedimento di pignoramento del conto precedentemente subito.
Ebbene, laddove l’ente riscossore non sia comunque riuscito a recuperare alcunchè (sostanzialmente perché il deposito era a zero o in rosso), può convocare il debitore e i terzi presso cui era avvenuto il pignoramento davanti al giudice dell’esecuzione. Se la banca dichiara di essere stata impossibilitata a compiere il prelievo forzoso e il concessionario non effettua una contestazione, la procedura esecutiva si estingue.
Ciononostante, i movimenti – anche finanziari – dei cittadini italiani fuori dai confini nazionali sono tracciabili e ricostruibili mediante l’iscrizione all’AIRE.
La procedura è infatti obbligatoria entro tre mesi dal trasferimento, se il periodo di permanenza è superiore a un anno.
A questo si aggiunge poi il fatto che, per quanto riguarda il recupero dei crediti dovuti a titolo d’imposta, si è aperto un processo di collaborazione e cooperazione, a livello comunitario ed europeo.
Dunque le misure cautelari possono essere adottate anche nel caso in cui lo stato adito sia diverso da quello a cui si deve l’importo.
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