Si è definito nei giorni scorsi un nuovo capitolo sul tema dell’illecita iscrizione in Centrale Rischi e delle conseguenze per chi la effettua. La Corte di Cassazione si è espressa con la sentenza n.1931 del 25 gennaio, puntualizzando anche l’approccio da assumere nei confronti di un’eventuale richiesta di risarcimento danni.
All’origine di tutto, la vicenda che ha visto coinvolto il titolare di uno studio professionale, contrapposto in giudizio a un istituto di credito con cui aveva avuto rapporti finanziari, e alla Banca d’Italia. In quest’occasione il cittadino aveva chiesto l’eliminazione dei suoi riferimenti dalla Centrale Rischi, trattandosi, a suo dire, di un’azione priva di fondamento. Contestualmente aveva preteso anche il rimborso di danni e spese.
Il primo e secondo grado di giudizio hanno visto il rigetto delle istanze dell’uomo, adducendo quale motivazione il fatto che la segnalazione in CR era scattata quando non era più riuscito a pagare, o lo aveva fatto parzialmente.
A quel punto la Cassazione ha ribaltato le precedenti pronunce, sottolineando che la segnalazione a sofferenza era avvenuta impropriamente, ovvero senza che venisse precedentemente monitorata la globale condizione dell’utente. Infatti, l’iscrizione ha come presupposto cardine una grave e non passeggera situazione finanziaria. Il trattamento dei dati personali è stato bollato come illegittimo e la Banca d’Italia è stata costretta a cancellare il nominativo dalla Centrale Rischi. Quanto alla richiesta risarcimento però, il richiedente è rimasto a bocca asciutta